THE LAST WAVE

Titolo italiano: L'ULTIMA ONDA

Produzione: 1977 - Australia, Ayer Production, col., 104 min.
Regia: Peter Weir
Sceneggiatura: Peter Weir, Tony Morphett, Petru Popescu
Effetti speciali: Mont Fieguth, Bob Hilditch
Musica: Max Lemon
Interpreti: Richard Chamberlain, Olivia Hammett, David Gulpilil, Frederick Parlsow, Nndijwarra Amagula, Walter Amagula, Vivean Gray, Malcolm Robertson
L'avvocato David Burton accetta di difendere a Sidney un gruppo di aborigeni accusati di omicidio. Durante la preparazione del processo, Burton scopre che i suoi assistiti fanno parte di una setta iniziatica, e finisce per subire il misterioso fascino di questa cultura a lui sconosciuta. La costruzione del processo coincide con una serie di drammatiche e inspiegabili perturbazioni climatiche e con l'impressione che l'avvocato ha di vivere situazioni sognate da bambino. Chris, uno degli imputati, gli spiega che quanto accade si ricollega ai ritorni ciclici del tempo e gli insinua il dubbio di essere lui stesso un "mulkurul", il messaggero che annuncia periodicamente la fine del mondo. Quando la causa è perduta, Burton ossessionato dalle parole dell'aborigeno e spinto a sondare i segreti della sua mente, scopre nei sotterranei di una centrale elettrica un antico santuario che conserverebbe i segni premonitori di una catastrofe imminente. Tornato in strada, Burton assiste impotente all'arrivo di una immensa onda che sommergerà la città intera.

Premesso che i film di Weir sono difficilmente classificabili in un preciso genere, L'ultima onda condivide con una certa fantascienza cinematografica la riflessione angosciosa sulla possibilità di una prossima fine del mondo. Il tema (ripreso con analogo pessimismo in alcuni recenti film di "fine millennio") svolge una riflessione critica sul significato dell'esistenza e interroga sulle contraddizioni strutturali della società contemporanea. Sviluppandosi tra sociologia, etnologia e filosofia, il racconto pone il drammatico contrasto tra due civiltà solo apparentemente integrate: quella aborigena legata a pratiche religiose e magiche fondate sulla sintonia tra uomo e natura, e quella dei bianchi, permeata di ignoranza e razzismo, superbamente puntellata sull'asserito equilibrio tra ragione ed ordine.
La cultura aborigena - tanto più "diversa" in quanto poco nota al pubblico occidentale - si colora, nel contesto della vicenda, come forza sotterranea (il santuario, significativamente, è nel sottosuolo della realtà cittadina) umiliata dalla colonizzazione dei bianchi e dal loro progresso industriale (sul santuario è costruita una centrale elettrica), ma umorosamente confusa con la terra e con il paesaggio (oltre la relativamente piccola Sydney si aprono paesaggi semidesertici a perdita d'occhio).
Il male della storia, sembra dire il film, è dimenticare le radici: una colpa che genera il disprezzo, l'ottusità, la violenza e che sfocia fatalmente nell'autodistruzione.

Accanto alla buona prova di Richard Chamberlain (l'avvocato Burton), troppo spesso rassegnato a ruoli insignificanti, si segnala quella sorprendente di David Gulpilil (il giovane Chris) considerato all'epoca una sicura promessa per il cinema australiano.

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